I migranti continuano a morire di caporalato. Quale soluzione?

Bruna Montorsi . 26/06/2024 . Tempo di lettura: 3 minuti

Satnam Singh, bracciante indiano, è morto due giorni dopo essere stato abbandonato dal suo “datore di lavoro” davanti alla casa in cui abitava, in provincia di Latina, dopo che un macchinario dell’azienda agricola in cui lavorava, in nero, gli aveva tranciato un braccio e spezzato le gambe. Davanti a casa, insieme all’uomo agonizzante, è stato lasciato anche il braccio mozzato in una cassetta della frutta.
Secondo i risultati dell’autopsia Singh, morto per l’emorragia, si sarebbe potuto salvare se i soccorsi fossero stati chiamati prima; infatti, dal momento, dell’incidente a quello della chiamata al 118 sarebbe passata almeno un’ora e mezza. Satnam Singh, 31 anni, non aveva il permesso di soggiorno e veniva sfruttato nell’azienda Lovato, insieme alla moglie, almeno dodici ore al giorno, senza un regolare contratto. Dopo la morte del bracciante, alla moglie è stato concesso un permesso di soggiorno dal governo italiano. L’azienda Lovato, già sotto indagine con l’accusa di caporalato da almeno cinque anni, usava manodopera straniera per pochi euro al giorno, senza ferie, né riposi e con orari di lavoro superiori a quelli consentiti dalla legge.
“Sono atti disumani che non appartengono al popolo italiano”, ha detto Giorgia Meloni, ma secondo l’ultimo rapporto agro-mafie della CGIL un quarto di tutti i braccianti, circa 230mila persone prevalentemente straniere, sono soggette a sfruttamento nelle campagne italiane.
Il ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida ha parlato di un caso isolato che non riguarderebbe tutta la filiera agricola e ha dato la colpa a “un criminale”. Uno dei tanti; dei troppi… aggiungiamo noi.

C’è una soluzione a tutto ciò?
Secondo noi Si! Certificare i prodotti provenienti dalle aziende che rispettano la normativa sul lavoro è la strategia possibile per promuovere condizioni di lavoro dignitose. Questo tipo di certificazione può incentivare le aziende a conformarsi alle normative vigenti e a migliorare le condizioni lavorative dei propri dipendenti. Ecco alcune modalità attraverso cui potrebbe essere realizzata:
1. Certificazioni etiche: sviluppare standard e criteri chiari che le aziende devono rispettare per ottenere una certificazione etica. Questi standard possono includere il rispetto dei diritti dei lavoratori, il pagamento di salari equi, il rispetto delle normative sulla salute e sicurezza sul lavoro, e il divieto di pratiche abusive come il caporalato.
2. Monitoraggio e verifica: implementare reali e concreti meccanismi efficaci di monitoraggio e verifica per assicurare che le aziende certificate rispettino effettivamente i criteri stabiliti. Questo può includere audit regolari da parte di organizzazioni indipendenti e trasparenti.
3. Marchi e etichette di certificazione: creare marchi o etichette appositi che i consumatori possano riconoscere come garanzia di prodotti provenienti da aziende agricole che rispettano le normative sul lavoro. Questi marchi possono aumentare la fiducia dei consumatori e favorire la scelta consapevole.
4. Collaborazione tra stakeholder: coinvolgere attivamente il governo, le associazioni di categoria, i sindacati e altri stakeholder nel processo di sviluppo e implementazione delle certificazioni.
La collaborazione è cruciale per assicurare che le certificazioni siano credibili e efficaci nel promuovere cambiamenti positivi.
Certificare i prodotti agricoli rispettosi dei diritti dei lavoratori contribuirà non solo a migliorare le condizioni di lavoro nei settori agricoli vulnerabili, ma anche a sensibilizzare i consumatori sull’importanza di supportare aziende responsabili e sostenibili.
Ora tocca ai legislatori fare la loro parte e dimostrare concretamente non solo che ” L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” ma che questo è rispettoso dei diritti dei lavoratori.

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