Luca Iotti . 30/05/2025 . Tempo di lettura: 4 minuti
Giovedì 22 maggio, squilla il telefono. Sullo schermo compare un nome familiare: Alessandro Fiaschi, il figlio di Marco, una delle primissime persone che, venticinque anni fa, era presente al “battesimo” di Bambini nel Deserto. Quei primi giorni, quelle prime idee, i primi sogni… sembrano ieri, ma da allora sono passati migliaia di chilometri, centinaia di progetti e innumerevoli incontri che ci hanno arricchito l’anima. Alessandro è reduce da un lungo viaggio che l’ha portato in Mauritania per realizzare un documentario. Ora si trova in Marocco, ospite di Alberico in un riad a Marrakech e, come spesso accade quando gli sguardi si allineano verso lo stesso orizzonte, la conversazione scivola naturalmente verso nuove destinazioni di viaggio.
“Ho visto che avete realizzato un progetto per la produzione di pane e dolci – mi dice – in una località montana che si chiama Agadir, ma non riesco a trovarla su Google Map. L’unica Agadir che mi appare è quella sull’Oceano Atlantico… Mi piacerebbe andare a vederlo.” Gli spiego che la “nostra” Agadir non ha nulla a che vedere con la nota meta balneare. Si tratta di un piccolo villaggio berbero aggrappato a una montagna di oltre 2.500 metri di altitudine nel cuore dell’Alto Atlante, un luogo difficile da raggiungere, ma impossibile da dimenticare. Gli invio le coordinate GPS e gli chiedo un favore: se può, di scattare qualche foto.
La mattina dopo, Alessandro, Arianna, Alberico e Maria Sole partono di buon’ora da Marrakech. I chilometri da percorrere non sono molti, ma l’80% della strada è tutta curve, e l’ultimo tratto è una vera e propria sfida: l’asfalto sparisce, lasciando il posto a una pista di sassi e polvere che si arrampica lungo le pareti di un canyon. In fondo, tra gole scavate dal tempo, scorre un piccolo fiume che dà la vita a questo microcosmo isolato dal mondo.
L’arrivo della delegazione italiana non è una sorpresa. Redouane, il nostro referente per le aree colpite dal terribile terremoto del settembre 2023, aveva avvisato la comunità: “Arrivano les italiens”. E come da tradizione berbera, l’accoglienza è qualcosa che va oltre ogni immaginazione.
Ad attenderli, donne vestite nei loro abiti colorati, bambini curiosi, uomini sorridenti: tutto il villaggio è presente. La piccola cooperativa femminile non si è limitata a cuocere il pane nel nuovo forno – hanno preparato un pasto completo, ricco di sapori e profumi della montagna, piatti che farebbero bella figura anche in un ristorante rinomato a Rabat. Couscous fragrante, tajine speziate, verdure dell’orto e tè alla menta servito con la solennità dei giorni importanti.
Quel forno – modesto, ma fondamentale – è diventato il cuore pulsante di un progetto di rinascita. Le attrezzature che abbiamo acquistato stanno già cambiando la vita delle donne della cooperativa: non solo pane per le loro famiglie, ma un vero e proprio micro-business che permetterà di vendere prodotti da forno nei villaggi limitrofi, stimolando l’economia e rafforzando l’autonomia.
Durante la visita, la delegazione viene invitata anche dall’imam a visitare la moschea del villaggio, luogo sacro e punto di riferimento comunitario. Purtroppo anche questo edificio è stato danneggiato dal sisma dello scorso anno. L’imam condivide le sue preoccupazioni, ma anche la speranza che con l’aiuto di chi crede nella solidarietà si possa restaurare.
Infine, arriva la richiesta che spesso accompagna la gratitudine: la comunità ha bisogno di altro, ha bisogno di sostegno per rilanciare l’economia dell’intera vallata. È una richiesta che porteremo con noi nella prossima missione che stiamo già pianificando. Come sempre, ascolteremo, valuteremo e – se possibile – interverremo. Il ritorno a Marrakech avviene nel tardo pomeriggio, seguendo la stessa strada impervia dell’andata, ma con gli occhi pieni di immagini indimenticabili, i cuori colmi di emozione e la certezza che ogni piccolo gesto possa fare la differenza.
Questa storia nasce da una semplice telefonata. Ma ci ricorda che nulla è mai davvero “semplice” quando si parla di relazioni umane, di comunità, di solidarietà. Da un filo invisibile che lega passato e presente, da un’amicizia che dura da 25 anni, è nato un nuovo racconto da condividere, un’altra tappa del nostro viaggio nel cuore pulsante del deserto, anche quando si trova… tra le montagne dell’Atlante.