Piano Mattei dove sei?

Luca Iotti . 22/05/2025 . Tempo di lettura: 4 minuti

Il Piano Mattei: una vetrina diplomatica dietro cui si nasconde la solita corsa all’energia fossile
Si è tenuta oggi la quarta riunione della cabina di regia del cosiddetto Piano Mattei, durante la quale il governo italiano ha presentato una bozza della seconda relazione sullo stato di avanzamento, destinata al Parlamento entro la fine di giugno. Ma dietro l’apparato di slide e dichiarazioni ufficiali si fa sempre più evidente la distanza tra la retorica della cooperazione e la realtà dei fatti. Solo pochi giorni fa, un’analisi pubblicata dall’Osservatorio sui conti pubblici italiani (CPI) dell’Università Cattolica ha evidenziato con chiarezza i limiti strutturali e le contraddizioni profonde del Piano: più che un progetto di sviluppo per l’Africa, quello italiano appare come un’operazione geopolitica ed economica finalizzata alla messa in sicurezza degli approvvigionamenti energetici, con buona pace della cooperazione internazionale e della lotta alla povertà.

Una strategia commerciale sotto mentite spoglie
Secondo l’Osservatorio diretto da Carlo Cottarelli, il Piano Mattei, così com’è oggi concepito, non ha alcuna possibilità di generare sviluppo socioeconomico duraturo nei paesi africani destinatari, né tantomeno di arginare i flussi migratori. Al contrario, si tratta di una strategia che rafforza la storica dipendenza energetica dell’Italia, in particolare dai combustibili fossili, legandosi ancora più strettamente a regimi spesso autoritari per garantirsi forniture di gas e petrolio.
I dati parlano chiaro: nel 2024 l’Italia ha speso 20,5 miliardi di euro per importare beni dai nove paesi coinvolti nella prima fase del Piano. Di questi, 9,4 miliardi sono stati spesi per l’acquisto di gas, in gran parte proveniente dall’Algeria. A seguire, 7,8 miliardi per prodotti manifatturieri e 2,6 miliardi per il petrolio. In totale, oltre il 58% delle risorse investite sono finite nel settore energetico fossile. E questo nonostante il Piano venga ufficialmente presentato come uno strumento per favorire lo sviluppo sostenibile nei paesi africani.
Non è tutto. Anche i 5,5 miliardi di euro messi formalmente a disposizione del Piano per progetti di cooperazione sono una cifra del tutto irrisoria se confrontata con il fabbisogno reale: “rappresentano lo 0,5% del PIL aggregato dei nove Paesi coinvolti”, si legge nell’analisi. In altri termini, una goccia nel deserto. Inoltre, questi fondi non sono nemmeno nuovi: si tratta di risorse già stanziate in precedenza, riorientate da altri capitoli di spesa. 2,5 miliardi provengono dal Ministero degli Esteri (cooperazione e sviluppo), mentre 3 miliardi sono stati dirottati dal Fondo Italiano per il Clima, gestito dal Ministero dell’Ambiente. Un’operazione di maquillage contabile, più che un vero investimento.

Espansione del Piano: nuove intese, vecchie logiche
Nel 2025, il Piano verrà esteso ad altri cinque Paesi: Angola, Ghana, Mauritania, Tanzania e Senegal. Anche in questo caso, l’interesse principale resta l’approvvigionamento energetico. Nel 2024, l’Italia ha importato da questi cinque paesi beni per 1,4 miliardi di euro, di cui oltre la metà è costituita da petrolio (766 milioni di euro). Angola e Ghana si confermano i nuovi pilastri energetici del Piano. Altro che sviluppo condiviso: il Piano Mattei si configura sempre più come un’operazione di “neo-estrattivismo” travestito da cooperazione.

Progetti sul campo: pochi, scollegati, inefficaci
A fronte della narrazione ambiziosa del governo, i progetti avviati finora sono pochissimi. Solo 21 iniziative identificate, di cui appena 9 con budget già definito, per un totale di circa 600 milioni di euro. Di questi, oltre la metà è concentrata in due progetti principali, entrambi funzionali più agli interessi geopolitici italiani che ai bisogni reali delle comunità locali.
Il primo è il “Corridoio di Lobito”, una ferrovia per il trasporto di minerali e prodotti agricoli tra Angola e Zambia, per un investimento di 320 milioni di euro, cofinanziato da USA e UE. Il secondo riguarda il Kenya, dove Eni sta investendo 200 milioni di euro nella produzione di olio vegetale per biocarburanti, destinati al mercato europeo. Progetti marginali, invece, quelli legati alla sanità, all’istruzione o alla formazione professionale, spesso finanziati con somme irrisorie, inferiori ai 50 milioni di euro.
L’Osservatorio CPI è chiaro: “Per produrre effetti duraturi, il Piano Mattei avrebbe bisogno di investimenti strutturali e coerenti, capaci di sostenere istruzione, sanità, infrastrutture e autonomie locali. In assenza di questa visione, il Piano rischia di trasformarsi in un’altra occasione persa per contribuire realmente allo sviluppo del continente africano.”

Conclusione: un piano vecchio con un nome nuovo
Nonostante il nome altisonante, il Piano Mattei ricorda molto da vicino i modelli di cooperazione asimmetrica del passato, dove l’Africa era vista come una terra da cui estrarre risorse, non come un partner da valorizzare. La differenza, oggi, è solo nella retorica. Dietro la facciata del “nuovo partenariato”, si intravede una strategia miope, che non affronta le vere sfide africane — né quelle ambientali, né quelle sociali, né quelle migratorie — ma si limita a riprodurre vecchie logiche coloniali, aggiornate al XXI secolo.

L’immagine utilizzata per questo articolo è stata generata con Flux AI

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