Bruna oggi compie gli anni (non si può dire quanti, perché sembra impossibile di fronte alla sua inesauribile vitalità) e dunque vogliamo mandare fino a lei, nel cuore dell’Africa, il nostro abbraccio più caro e la nostra gratitudine. Da dieci anni Bruna vive da agosto a gennaio in Burkina Faso, per avviare l’anno scolastico e per seguire tutti gli altri progetti che, grazie a lei, riusciamo ancora a tenere in vita nonostante le difficili condizioni di sicurezza del paese.
Digitando su google maps “baobab dei bambini di nagreongo” compare un pallino rosso e ai suoi piedi una stellina che indica la ormai leggendaria “scuola con le orecchie”. In questo angolo sperduto di mondo non c’è nulla di quello cui siamo abituati qui, non c’è l’acqua, non c’è la luce, non c’è il gabinetto, non c’è il dottore, non c’è un negozio dove comprare quel che ti serve: per vivere qui ci vuole un bel coraggio, anche senza bisogno della minaccia del terrorismo.
Eppure la breve cronaca di una giornata alla maison des énfants che Bruna ci ha mandato qualche giorno fa spiega molte cose e fa prendere consistenza alle parole con cui San Francesco conclude la sua meravigliosa preghiera semplice “… Poiché così è: dando che si riceve; perdonando che si è perdonati; morendo che si rinasce a vita eterna”.
Noi però ti auguriamo di resistere ancora tanti anni, tantie Bruna, perché il tuo impegno di pace è un grande conforto per tutti.
Una giornata alla “Maison des enfants” di Bruna Montorsi
Mi sveglio presto, alla pompa ci sono già alcuni bambini di CE2 che pompano l’acqua per la scuola.
Bonjour tantie!! Alle sette entro nel cortile della scuola materna, uno sparuto coro di bambini intona “Tan-ti-bru-na”, mentre un bimbetto nuovo piccolissimo che non mi conosce ancora se la dà a gambe e corre urlante dalla sua tata. La “Nasara” ai piccoli fa questo effetto. Vedo la cuoca che accende il fuoco con la gomma, cosa che avevo già vietato, e le intimo di usare il cartone. Ne avevo già parlato alle maestre ma…
Arrivo alla primaria, tre classi, diversi bambini ma ancora nessuna insegnante.
Ci sono due maestre assenti, una per malattia sua, l’altra all’ospedale con la bambina di due anni, già malnutrita, che si è pure presa la malaria.
Due bambini della classe CE2 (sono i miei primi alunni qui, questo è il loro quarto anno) mi corrono incontro per prendermi le borse, Mahamoudou mi dice: oggi la borsa la metti in classe nostra. Appena mi siedo sento alcune dita nei miei capelli, qualcuno mi tocca un braccio, qualcuno un piede. Se non reagisco mi trovo più mani ficcate nei capelli, dicono che a loro piacciono molto perché sono lisci. Poi sbotto: lasciate i miei capelli in pace! Ma senza convinzione. Loro smettono e si mettono a ridere.
Stamattina in programma c’è la rappresentazione teatrale della filastrocca inventata, mentre fanno le prove entra un Ispettore, dico: bene, avete anche il pubblico. Ovviamente recitano da attori nati. Poi ci sarebbe musica e danza, non vedevano l’ora. Ma l’apparecchio solare per ascoltare la musica, ieri è stato dimenticato in cortile e, al posto del sole per caricarsi, si è preso un diluvio durato due ore. E’ fuori uso. Si guardano e mi guardano con occhi tristi. Allora dico: non c’è problema. Chi sa suonare con le mani sul tavolo? Si mettono a suonare come dei percussionisti nati. Allora li organizzo: mentre un gruppo suona gli altri ballano, e si danno il turno. Tanto loro la musica ce l’hanno dentro, loro “sono” musica. Anche Carine, la loro maestra (incinta che deve partorire a giorni), si mette a ballare lo Warba, la “danza delle chiappe”.
Passo in CE1, c’è una supplente che si porta addosso un bambino di 2 mesi. Fa quello che può, ma la classe è turbolenta. Sono usciti per l’attività sportiva e faticano a calmarsi. Lettura, poi geometria. Sono contenti di provare a usare il compasso. Poi lavorano sulle tabelline, allora rapidamente preparo delle flash card sulle tabelline perché possano imparare giocando. La loro maestra, che è a casa in malattia, viene a scuola per vedere come va, per dare una mano, un bel pensiero…
In classe CP1 si lavora sulla lettera U. Controllo i quaderni e vedo che molti bambini scrivono V al posto di U e la maestra non li ha corretti. Chiamo i bambini uno alla volta durante l’intervallo per aiutarli a correggersi (e riprendo, con la massima calma possibile, anche oggi, l’operato dalla maestra…).
Dopo l’intervallo, tutti in classe CE2 per assistere alla piccola messa in scena della filastrocca. Tutti applaudono contenti, non se ne vogliono andare. Kouka è seria e non applaude. Non ti è piaciuto? Le chiedo. Poi la sfioro e sento che è bollente. Ieri aveva la febbre, le abbiamo dato un paracetamolo e l’abbiamo mandata a casa dicendo alla famiglia di portarla al dispensario. Stamattina è venuta a scuola senza essere andata al dispensario. Parte la caccia telefonica a un parente, chissà se sono poi venuti a prenderla nel pomeriggio.
Ora di pranzo: tutti mangiano la “benga” (riso e fagioli), anch’io cerco un piatto e mi servo un po’ di benga, prima di affrontare il lungo viaggio di rientro in città. Vedo Guibrile in un angolo che piange. Lo tocco: è strabollente. Anche lui ieri è andato a casa con la febbre ma nessuno l’ha portato al dispensario. Faccio venire la nonna e stavolta perdo la calma. So che non capisce il mio francese ma so che capisce quello che voglio dire. Carine, la maestra, rincara la dose in moré. Speriamo che stavolta lo portino al dispensario…
Quando parto e passo davanti al cortile della scuola, arrivano di corsa vicino al recinto per salutarmi, mi tocca fermarmi. Vogliono sentire la musica della radio. Alzo il volume e si mettono a ballare… Ciao, a lunedì. In macchina ripenso alla mattinata intensa, una come tante, strapiena di facce, azioni, emozioni, arrabbiature, soddisfazioni. E mi sento addosso una strana stanchezza felice.